Tre recenti sentenze della Corte di Cassazione affrontano il tema del licenziamento per l’utilizzo di un linguaggio scurrile sul posto di lavoro, offrendo spunti di riflessione sulla rilevanza di tale comportamento in ambito lavorativo.
In Italia, utilizzare un linguaggio scurrile sul posto di lavoro, potrebbe portare ad un procedimento disciplinare, il quale può sfociare anche in un licenziamento.
Le sanzioni disciplinari possono essere di due tipi:
Non possono essere validamente irrogate sanzioni disciplinari se, prima dell’infrazione, il datore di lavoro non abbia predisposto e pubblicizzato il codice disciplinare, contenente le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse.
Il codice disciplinare deve applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro, ove esistano.
Il licenziamento può essere per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, nello specifico:
In entrambi i casi, il datore di lavoro deve seguire una procedura disciplinare corretta e fornire al dipendente la possibilità di difendersi prima di procedere con il licenziamento.
Nella prima sentenza (n. 7293 del 13 marzo 2023), la Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento di un autista ATAC che aveva utilizzato il display dell’autobus per scrivere un messaggio offensivo contro i vaccinati. Il comportamento è stato considerato una manomissione dei documenti aziendali, in quanto il display è uno strumento di comunicazione destinato ai passeggeri e non può essere utilizzato per fini personali.
Nella seconda sentenza (n. 7029 del 9 marzo 2023), la Cassazione ha confermato il licenziamento di un lavoratore che aveva rivolto espressioni di scherno e insulti a una collega per il suo orientamento sessuale in presenza di altri colleghi. La Corte ha sottolineato che tali espressioni non possono essere considerate semplici episodi di maleducazione, ma integrano una discriminazione per motivi sessuali, che rappresenta una giusta causa di licenziamento.
Nella terza sentenza (n. 5878 del 24 marzo 2015), la Cassazione ha invece escluso la legittimità del licenziamento di una lavoratrice che aveva denominato alcuni file di lavoro con parole scurrili. In questo caso, la Corte ha ritenuto che tale comportamento, pur essendo censurabile, non integrasse una insubordinazione o un inadempimento grave delle obbligazioni lavorative.
In conclusione, emerge che la rilevanza del linguaggio scurrile ai fini del licenziamento dipende da diversi fattori:
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